sabato 25 settembre 2010

giovedì 26 agosto 2010

il marcio e la muffa educativa



Fine agosto. Piovono progetti, proposte e riunioni budget.
Con l'equipe decidiamo di lavorare due giorni su una proposta per la scuola dell'infanzia, fatta di laboratori artistici liberamente ispirati a Hundertwasser, attenti alla declinazione per le diverse età. Costruiamo una progettazione per i tre anni, una per i quattro, una per i cinque. Materiali di pregio. Formazione per gli insegnanti.
Poi facciamo i conti
Per ogni incontro di due ore, il costo a bambino - per gruppi tra i 10 e i 15 bambini - sarebbe di 6 euro.
Per gruppi da 25 bambini, 4 euro e 50.

Chiamiamo due insegnanti amiche e chiediamo di valutare la cifra.
6 euro? - ci dicono - impossibile!
Come collegio docenti abbiamo deciso di non chiedere mai più di 5 euro alle famiglie, ci dicono. Generalmente, qualsiasi sia la proposta, ci teniamo su una richiesta di 3 euro.
Forse, ma proprio forse, potrebbe passare la vostra proposta per i gruppi da 25. Magari, unendo le classi, potremmo portare il gruppo a 30 e la cifra diventa credibile.

Io, in questi momenti, vorrei fare un altro lavoro, o cambiare paese, o fare la rivoluzione. E poi scrivo un post.

E nel post mi dico.
Innanzitutto, ovviamente, che la scuola pubblica dovrebbe garantire la possiblità, ai bambini, di accedere a delle proposte esterne alla scuola a costo zero. Dovrebbe finanziare - lo stato, dovrebbe - progetti di qualità da portare nelle scuole.
E questo non succede.
Succede parzialmente, molto parzialmente, e comunque la qualità è l'ultimo dei criteri di approvvazione.

In secondo luogo mi dico.
Sia che i soldi vengano dall'alto o che vengano dal basso.
E' davvero accettabile che l'unico modo per contenere i costi sia di alzare il numero di bambini a 20, 30, 35 a laboratorio, mantenendo invariato il numero di adulti e professionisti che lavorerebbero con loro?
Stiamo parlando di bambini di età prescolare.
E' davvero accettabile - io dovrei accettare la proposta pur di fare il mio laboratorio? - che la mia equipe, composta da due persone, possa trovarsi a lavorare con 30 bambini di 3 anni contemporaneamente?
Io dovrei accettarlo? E soprattutto, le maestre dovrebbero davvero propormelo?

Perchè poi qui si esce dal didattico e si entra nel sociale.
Io mi dico.
Tu, maestra, puoi davvero trovare giusto, corretto e altruista nei confronti della famiglia, il fatto di propormi di lavorare con un rapporto 1:15 con bambini di tre anni, per chiedere 1,5€ in meno alla famiglia?
Cosa c'è di sociale, in questo? Di educativo? Di lungimirante?
Perchè può essere accettabile che tu faccia fare una cosa brutta e malriuscita a 30 bambini, pur di tenere i costi ridotti, e ridotti di 1,50€?

Ci sono famiglie povere.
Ci sono famiglie poverissime.
Per queste famiglie è un problema pagare 6€ per un laboratorio all'interno di un servizio già garantito.
Io, come persona, ma anche a nome della mia associazione, sono pronta a concedere tutte le gratuità necessarie a far si che questi bambini abbiano diritto all'acceso al laboratorio.
A fronte di un reale disagio - per cui non richiedo alcuna certificazione, che in Italia non vale nulla, ma basandomi sul giudizio delle maestre e sulla richiesta delle famiglie - io e la mia associazione accettiamo per scelta di andare in passivo della cifra necessaria.
E' una scelta politica.

Ma le altre famiglie.
Anche nei quartieri meno agiati.
Le altre famiglie, 6€ al giorno li spedono, eccome se li spendono, facendo scelte diverse.
Decidono di spenderli per il cibo di marca, per il gratta e vinci, per la ricarica del telefono, per le scarpe con la firma, per un vestito inutile, per un dvd, per un gioco della playstation, per le figurine.
Dico sei euro. Ma ovviamente è molto di più.
Allora, mi dico, è questo il compito della scuola?
E' questo il compito delle maestre?
Accettare che il genitore scelga di non spendere 6 euro per un laboratorio formativo per poter comprare le scarpe firmate?
E' questa la democrazia, ai tempi del consumismo?
Tu fai delle cazzate ma io non posso dirtelo perchè tu hai il diritto di farle?
Qual'è il senso della scuola, a questo punto?
Confermare il messaggio secondo il quale l'importante è spendere meno, indipendentemente dalla qualità, per non dover rinunciare a niente?
Una logica da bancarelle cinesi?

Io, ci sono volte, queste volte, che sono disgustata.
Perchè mi tocca decidere se rifiutare di portare una bella cosa ma male, ai bambini. O accettare di portare una bella cosa ma male, ai bambini.

Tra il marcioeducativo e la muffaeducativa, quello che mi rimane, è la possibilità di scrivere un post.
E non è una bella sensazione.



martedì 4 maggio 2010

Esattamente il contrario



Ci sono dei libri che mi fanno venire voglia di essere una professoressa di italiano.
Li leggo e penso Ah, se avessi una classe mia, questo sarebbe il libro che farei leggere. Di cui leggerei dei pezzi. Che porterei avanti durante l'anno, capitolo per capitolo.
Adesso però ho trovato il libro perfetto.
E' perfetto perchè basta un'ora di lezione per leggerlo tutti insieme.
Oppure può essere un compito, anche da un giorno all'altro, per quanto è breve, per quanto è veloce, per quanto è scorrevole.
Perchè poi non è proprio un libro. E' la trascrizione del discorso fatto da Paolo Nori a Cracovia alle classi che partecipavano all'iniziativa della Fondazione Fossoli "Un treno per Auschwitz".
Si chiama Esattamente il contrario, è appena uscito per Drago edizioni.

E' il libro perfetto per la lezione del Giorno della Memoria.
Ma anche per qualsiasi altro giorno.
E' bellissimo.
E se siete professori.
Se anche non pensate che possa andare bene, una proposta così, all'interno del vostro complicato programma di lezioni, almeno leggetelo voi.
Ci vuole il tempo di un lavatrice.
Ed è un libro a effettosberla
Che nel 2010, scusatemi se è poco.

giovedì 8 aprile 2010

di mense, iscrizioni e diritti



Io credo che dobbiamo smetterla di pensare, e anche un po' di illuderci, che questo governo, che la destra, che un bel pezzo della sinistra ce l'abbia con i migranti.
Non sono i migranti il problema, sono i poveri.
Io credo che sia il momento di dirlo, perchè è importante ricominciare a collocare le cose al posto giusto.

Quando il primo cretino che passa dice Io non sono razzista, io ho anche degli amici neri (o negri, a seconda della raffinatezza) è un cretino, ma non mente.
Perchè anche nei razzisti, la paura la fa la povertà.
Razzisti puri ce n'è, ma non sono quelli del 10% alle elezioni. I leghisti e quelli che votano lega non sono razzisti puri, non sono quelli che pensano che i neri siano inferiori, sono quelli che dicono L'importante è che lavorino.

Dietro a questo pensiero c'è un baratro sociale.
Perchè l'estensione dall'avercela con l'ecuadoriano che non lavora all'avercela con chiunque non sia produttivo, sia emarginato, sia diversamente abile, sia disoccupato, sia semplicemente povero è questione di un attimo.
La storia - terribile e insopportabile - dei bambini esclusi dalla mensa scolastica a Bologna come in Lombardia è emblematica.
Se non puoi permetterti la mensa, se non la paghi, il tuo bambino - attenzione: non tu. Il tuo bambino - lo mandiamo fuori e poi aspettiamo che ce lo riporti alle 14,30 per le lezioni.
Che abbia mangiato.
Che non abbia mangiato.
Che tu lo abbia portato da Mac Donald's.
Che i bambini di tutta la scuola sappiano che è povero, che i suoi genitori non si possono permettere la mensa.
Le conseguenze sociali e psicologiche di questa cosa, sul gruppo, sul singolo, sul messaggio.
Tutte queste cose non sono importanti.
L'importante è che paghi. Come gli altri, ti dicono, facendo finta che questa sia la democrazia.

Ma come siamo arrivati a questo?
Come abbiamo fatto a finire in un paese dove l'emarginazione dei bambini poveri (vale per la mensa, vale per le classi ghetto, vale per le scuole di periferia uccise dai tagli) è quotidianità accettata?
E' successo questo: che abbiamo iniziato a pensare non in termini di diritti, ma di servizi.
I diritti si ottengono.
I servizi si pagano.

Allora, in questo mondo di servizi, il povero fa paura perchè usufruisce di cose che gli altri pagano. E chi paga pensa Ma perchè io devo pagare e lui può averli gratis?
Ma, in questo paese, la scuola è un diritto. Ed è un diritto poter crescere sano e integrato. E' un diritto l'educazione. Ed è un diritto il cibo e l'acqua.
Escludere dei bambini dalla mensa è il primo passo (no, non il primo. Uno dei) per l'emarginazione della povertà.
Per un mondo dove, di nuovo, soltanto i ricchi potranno usufruire di quello che i poveri produrranno per loro.

Io non lo so quanti dei bambini esclusi dalla mensa di Bologna fossero migranti.
Probabilmente molti. Ma questo è irrilevante.
E' importante invece capire cosa abbia portato a questo.
E iniziare ad opporci.
Non è vero che è sbagliato che qualcuno paghi e qualcuno abbia le stesse cose gratis.
E' la base della democrazia, questo.
E' importanti che sia il pubblico ad occuparsi dei diritti, e a garantirli a tutti, proprio perchè soltanto il pubblico può e deve permettersi di andare in perdita, se questo vuol dire garantire un'esistenza degna ai suoi cittadini.
E questo deve valere per tutti i diritti.
La scuola. L'acqua. Gli spazi verdi. L'assegno di disoccupazione. La casa. La sanità.
E' giusto, giustissimo, che qualcuno paghi, qualcuno no, e a tutti sia garantito l'accesso. Perchè la povertà non può e non deve essere causa di esclusione.
E' una forma di razzismo come un'altra e, per altro, incredibilmente più trasversale.

Io credo che sia l'ora di tornare a dire che eliminare dall'accesso ai diritti, i poveri e gli emarginati, è razzismo.
Perchè lo scotto che andremo a pagare, altrimenti è l'emarginazione di interi gruppi sociali, in cui - peraltro - rischiamo di finire anche noi con facilità.
Non è una cosa che riguarda gli altri. Riguarda noi.

E come diceva, tra gli altri, Moni Ovadia fino a poco tempo fa, I diritti si chiamano diritti se sono per tutti. Altrimenti si chiamano privilegi.

martedì 16 febbraio 2010

Rom, lettera delle maestre prima dello sgombero



Le maestre della scuola elementare di via Pini a Milano scrivono ai loro alunni rom, che domani potrebbero di nuovo essere sgomberati.
Oggi questi bambini vivono in una baraccopoli sorta a Segrate, ma il 19 novembre 2009 erano stati mandati via dall'ex edificio Enel di via Rubattino, nel quartiere della scuola di via Pini. Segrate e' l'ultima tappa dei continui sgomberi che hanno subito da allora. Anche domani, probabilmente, vedranno la loro baracca rasa al suolo dalle ruspe. Nonostante tutto, i bambini hanno continuato ad andare a scuola. Spesso sono le maestre ad andarli a prendere nelle loro baracche, costruite di volta in volta in zone diverse di Milano.

Ciao Marius, ciao Cristina, Ana, ciao a voi tutti bambini del campo di Segrate -scrivono le maestre-. Voi non leggerete il nostro saluto sul giornale, perche' i vostri genitori non sanno leggere e il giornale non lo comperano. È proprio per questo che vi hanno iscritti a scuola e che hanno continuato a mandarvi nonostante la loro vita sia difficilissima, perche' sognano di vedervi integrati in questa societa', perche' sognano un futuro in cui voi siate rispettati e possiate veder riconosciute le vostre capacita' e la vostra dignita'. Vi fanno studiare perche' sognano che almeno voi possiate avere un lavoro, una casa e la fiducia degli altri.

Sappiamo quanto siano stati difficili per voi questi mesi: il freddo, tantissimo, gli sgomberi continui che vi hanno costretti ogni volta a perdere tutto e a dormire all'aperto in attesa che i vostri papa' ricostruissero una baracchina, sapendo che le ruspe di li' a poco l'avrebbero di nuovo distrutta insieme a tutto cio' che avete. Le vostre cartelle le abbiamo volute tenere a scuola perche' sappiate che vi aspettiamo sempre, e anche perche' non volevamo che le ruspe che tra pochi giorni raderanno al suolo le vostre casette facessero scempio del vostro lavoro, pieno di entusiasmo e di fatica. Saremo a scuola ad aspettarvi, verremo a prendervi se non potrete venire, non vi lasceremo soli, ne' voi ne' i vostri genitori che abbiamo imparato a stimare e ad apprezzare.

Grazie per essere nostri scolari, per averci insegnato quanta tenacia possa esserci nel voler studiare, grazie ai vostri genitori che vi hanno sempre messi al primo posto e che si sono fidati di noi. I vostri compagni ci chiederanno di voi, molti sapranno gia' perche' ad accompagnarvi non sara' stata la vostra mamma ma la maestra. Che spiegazioni potremo dare loro? E quali potremo dare a voi, che condividete con le vostre classi le regole, l'affetto, la giustizia, la solidarieta': come vi spiegheremo gli sgomberi? Non sappiamo cosa vi spiegheremo, ma di sicuro continueremo ad insegnarvi tante, tante cose, piu' cose che possiamo, perche' domani voi siate in grado di difendervi dall'ingiustizia, perche' i vostri figli siano trattati come bambini, non come bambini rom, colpevoli prima ancora di essere nati.

Vi insegneremo mille parole, centomila parole perche' nessuno possa piu' cercare di annientare chi come voi non ha voce. Ora la vostra voce siamo noi, insieme a tantissimi altri maestri, professori, genitori dei vostri compagni, insieme ai volontari che sono con voi da anni e a tanti amici e abitanti della nostra zona. A presto bambini, a scuola.

Le vostre maestre: Irene Gasparini, Flaviana Robbiati, Stefania Faggi, Ornella Salina, Maria Sciorio, Monica Faccioli".

mercoledì 13 gennaio 2010

RIMA DELLA FELPA (BRUNO TOGNOLINI)

Scusate se non scrivo mai.
Vorrei, dovrei, ma non riesco.
Però ho appena trovato una filastrocca bellissima di Bruno Tognolini e ve la regalo.
Così, per farmi scusare.
Mettiti la felpa, vento della sera
Mettiti la felpa, magico orso bianco
Copriti la testa, mitica pantera
Lupo della steppa non sudare che sei stanco
Saltano i delfini, strisciano i serpenti
Corrono i topini irraggiungibili e contenti
Vola l'uccellino, scavano le talpe
Sudano un casino ma non mettono le felpe
Io son solo umano
Ho gambe da nano
Io non posso correre come quel vento nudo
Perché se corro sudo P
erché se corro cado
Perché se corro chissà dove vado
Sono un bambino umano
Ma non è mia la colpa P
erché mi devo mettere la felpa?