Succede che, a volte, anche l'educazione democratica vada rinegoziata.
E così, dopo 5 mesi di posti a tavola liberi abbiamo ceduto. Basta pane per terra, bambini in piedi, urla, scherzi, lacrime e pianti: abbiamo assegnato noi educatrici i posti fissi a tavola.
Abbiamo disegnato lo schemino, abbiamo assegnato i posti e poi abbiamo convocato una riunione con i nostri bambini.
Noi educatrici abbiamo quindi affermato che, dopo mesi di prove, non accetavamo più la bolgia dei posti liberi e che, quindi, avremmo proposto dei posti, che sarebbero stati obbligatori per un mese.
Scaduto il mese avremmo accettato le loro proposte alternative e, se accettabili, le avremmo messe in pratica.
26 bambini hanno mugugnato, protestato blandamente, accettato supinamente i nuovi posti obbligatori.
Ma il bambino F.
6 anni e mezzo.
Due denti e tre quarti.
Si è alzato in piedi.
Ha alzato il dito indice.
E ha urlato "Nooo. Non dobbiamo accettarlo! Dobbiamo rifiutare questi posti obbligatori!".
E poi si è guardato intorno.
Gli altri 26 bambini non hanno detto niente. Hanno guardato noi con l'aria di chi si aspetta il plotone d'esecuzione. E poi hanno guardato F.
Che si è risieduto e ci ha guardato in silenzio.
E noi, a quel punto, abbiamo confermato che, purtroppo, i posti, per un mese, ormai erano quelli che avevamo deciso noi adulti.
Ma detto fra noi.
Se gli altri 26 bambini avessero supportato la rivolta di F. io, pedagogicamente, mi sarei arresa.
Ma F. da solo, no.
Pedagogicamente, una rivolta solitaria è una rivolta fallita.
Ma detto fra noi.
Sono i bambini come F. che regalano la speranza per il futuro.